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Chi ha paura di Roberta Bruzzone?

Chi ha paura di Roberta Bruzzone?
Posted on 27 novembre 2010 by Dimitra Kakaraki

SEGNALAZIONE
A questo indirizzo http://tg7.la7.it/Cronaca/video-345733 è in rete un’intervista fatta dal TGLa7 alla psicologa Bruzzone definita però criminologa. Considerando ciò che dice in questa intervista è possibile chiarire quali sono le competenze e soprattutto i limiti di uno psicologo che si esprime sui media su casi che non conosce direttamente (oggi la dottoressa è consulente di parte ma al tempo dell’intervista non lo era) arrivando anche a parlare di concetti quali l’infermità mentale? Richiamandosi alla carta dei doveri del giornalista che è tenuto a non generare nello spettatore errate percezioni è possibile ravvisare in questa intervista (e se ne parla in termini generali e non diretti alla collega) delle “violazioni” lesive dell’immagine dello psicologo oramai visto come un veggente del crimine, e soprattutto è deontologicamente corretto assumere la consulenza della difesa di una persona che pochi giorni prima si era definito pedofilo assassino?
Grazie della vostra risposta che potrebbe chiarire molti dubbi, prima di tutto alla sottoscritta.
Lettera Firmata

PARERE DI Valeria La Via
Ce lo siamo chiesto tutti: è davvero indispensabile (o così facile), in un contesto mediatico, spogliarsi di quell’ habitus scientifico che consiste nel basare le proprie valutazioni su dati attendibili e completi e sulla conoscenza diretta? È una colpa tanto grave eludere una domanda quando non abbiamo niente di speciale da dire? Che ci vuole, quando la parrucchiera o un giornalista ci chiedono un parere esperto sui delitti di grande risonanza mediatica, a rispondere: “Guardi, ne so quanto lei: conosco il caso solo dai giornali”? E’ vietato porre dubbi, usare i condizionali, prospettare scenari alternativi? A giudicare dai successivi sviluppi delle indagini, la dott. Bruzzone sembrerebbe la prima vittima della sua stessa imprudenza.
E invece no. Ella è oggi consulente della difesa dell’uomo che solo poco tempo prima, nel video segnalato, aveva inquadrato come un pedofilo omicida. Lungi dal non riuscire a prendere sonno per la vergogna, Bruzzone rilascia un’intervista al “Corriere della Sera” del 14 novembre in cui, per controbattere alle critiche per le sue incaute valutazioni, afferma: “Sono tutti esperti col senno del poi…soltanto gli stupidi non cambiano mai idea e poi in questa storia tutti quanti abbiamo detto qualche cazzata [sic]. La differenza è che io lo riconosco”.
Ma come, “tutti quanti”? Chi sarebbero costoro? Non certo le persone di buon senso (non occorre scomodare i codici deontologici per capire quanto valga un giudizio espresso in quella fase dell’indagine e da quella posizione), tra le quali si annovera un grande numero di psicologi e criminologi, che non hanno affatto cambiato idea per il semplice motivo che non avevano avuto modo di formarsela.
Vero è che la qualifica di “criminologo” di cui preferenzialmente si fregia la dott. Bruzzone ha assunto nei media un’accezione vasta e imprecisa, fino ad abbracciare discipline che la criminologia vera e propria distingue dal proprio ambito di ricerca. Sta di fatto che, a esaminarne il curriculum, la dott. Bruzzone sembra semmai esperta di criminalistica, di tecniche di investigazione, che sono altra cosa dalla criminologia in senso stretto. D’altro canto, è ovvio che in sette anni di iscrizione all’Albo questa collega non potrà certo avere acquisito competenze di ogni tipo: ha giusto frequentato un paio di corsi di perfezionamento (da cui trae la gustosa quanto inesistente qualifica di “perfezionata”: chissà se, qualora facesse qualche più impegnativo Master conseguendo il diploma, si definirebbe masterizzata!), che non sono certamente sufficienti a erogare una formazione equiparabile a quella delle vecchie e purtroppo soppresse scuole di specializzazione in criminologia.
A onor del vero, va chiarito che la dott. Bruzzone non esprime concetti che richiedano speciale competenza. Per prevedere che la difesa di un imputato invochi l’infermità mentale basta aver sentito parlare degli artt. 88 e 89 del Codice Penale che trattano dell’imputabilità di chi “per infermità” (è questa l’espressione letterale) si trovi, al momento della commissione del fatto, “in tale stato di mente” da escludere o limitare in modo importante la capacità di intendere e di volere. Così pure, a dire “pedofilo” son buoni tutti, anche se, a voler sottilizzare, il pedofilo psicopatico di cui parla Bruzzone è profilo su cui la casistica non è poi così abbondante; non vi è nemmeno consenso degli esperti sui pochi casi che sono stati esaminati direttamente (basti pensare al caso Chiatti), ma chissà, magari nel data base dell’FBI ce ne sono a bizzeffe.
Inoltre, non è poi così evidente che chi sta parlando nel video in oggetto sia proprio una psicologa. Il tono di voce poco modulato e autoritario, la parlata frettolosa e senza pause, la mimica della parte finale sembrano più tipici del codice comunicativo di altre figure sociali, più interessate all’azione e alla persuasione che all’ascolto e alla comprensione. Quanto ai contenuti, che cosa c’è di psicologico? Essi sono palesemente strumentali alla pubblicizzazione di Telefono Rosa, di cui Bruzzone è consulente, e questo intento viene perseguito mediante un’adesione collusiva alla reazione sociale al crimine. Bruzzone si immedesima nel sentire della folla impaziente di linciare il mostro, apparentemente senza nulla chiedersi sulle conseguenze drammatiche che, sull’onda della suggestione emotiva di un delitto di forte risonanza mediatica, possono derivare dalla sua sollecitazione a denunciare parenti e conoscenti “sospetti” di pedofilia.
Non è certo un approccio da psicologo, che semmai si sforzerebbe di fare da “filtro” e da ragionevole sedativo rispetto agli umori della folla, favorendo il pensiero come sostituto dell’azione violenta e come risorsa per elaborare la ferita che ogni crimine infligge alla società. Forse il nostro disagio deriva da quel senso di responsabilità sociale che è nella cultura e nell’etica dello psicologo e che questo stile di comunicazione ci sembra disattendere, non sappiamo se a causa del set televisivo o del setting interno del giornalista o dell’esperto. Sta di fatto che il mondo dello psicologo sembrerebbe profondamente diverso da quello di questa figura di criminologa all’americana che Bruzzone ha avuto l’iniziativa di sdoganare sui media, dopo i Picozzi e tutti gli altri (dei quali bisogna dire che sono altrettanto poco identificati nella comunità dei medici con cui condividono l’iscrizione ad albo professionale).
Certamente chi fa la segnalazione coglie una distanza abissale tra questo stile comunicativo e la cultura condensata nell’art. 39 del nostro Codice Deontologico: “Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte”. Oltre alla difficoltà di comprendere quali siano le effettive competenze professionali di questa esperta, il suo codice comunicativo non è certo quello dell’informazione che consente all’altro di formarsi idee personali, ma è più vicino a quello persuasivo che conosciamo dalla pubblicità o, negli ultimi anni, dalla politica.
D’altra parte, la dott. Bruzzone non sembra affatto interessata, nella sua veste di commentatrice di fatti di cronaca nera, a riconoscersi nella cultura, e quindi nella deontologia, degli psicologi. Quando dice “tutti quanti abbiamo detto qualche cazzata”, è evidente che questi “tutti quanti”, l’insieme in cui si identifica, sono solo gli altri “esperti” televisivi (che peraltro non coincidono con quelli che, invece, vengono prescelti dalla stampa più autorevole e attenta), per i quali, proprio come per i politici, il fatto di parlare dietro una telecamera conta di più di quello che viene detto, e l’appartenenza a una professione funziona solo come un credito di accesso meramente formale. Né ella sembra sospettare l’esistenza di un mondo retto da diversi valori e ambizioni. A proposito delle critiche sulle affermazioni in cui si era prematuramente lanciata si esprime come un’attrice: “è tutta invidia”, dice nella citata intervista al “Corriere”, presumendo che chiunque altro debba per forza desiderare di essere al suo posto. In questa visione, conta solo essere dalla parte emittente della TV; chi sta dall’altra parte è un fesso, un frustrato, un cretino.
Segue la logica della rappresentazione mediatica anche il suo nuovo ruolo di consulente della difesa, e da questa parte del teleschermo non è dato capire se sia stato richiesto perché il consulente che cambia idea risulta più credibile o se l’idea della consulente sia cambiata a seguito dell’assunzione dell’incarico. Se però la dottoressa è in grado di svolgerlo nell’interesse del suo cliente, in base a quel che sappiamo non abbiamo motivo di sospettare alcuna incompatibilità. Diverso sarebbe se l’incarico venisse conferito da un giudice, ma si tratta di una prospettiva decisamente fantascientifica.
In definitiva, a me sembra che vi sia un divario incolmabile tra Bruzzone iscritta ad albo, che, forse, altrove lavora come psicologa, e quest’altra Bruzzone che fa tutt’altro lavoro, ospite di set televisivi in cui va in onda continuamente uno spettacolo osceno e privo di alcun interesse, dove per ore e ore alla miseria psichica dei protagonisti fanno eco le banalità di esperti che non rappresentano altri che se stessi. Esperti che iterano la loro presenza fino a saturazione per poi venirne espulsi per lo stesso motivo per cui vengono a noia le pubblicità. Toccherà anche a Bruzzone e a chi prenderà il suo posto.
Non vedo dunque il rischio di lesione dell’immagine dello psicologo, che ben si rappresenta su altre scene assai più popolate, e che con questi opinionisti ha lo stesso rapporto che il medico di base ha con i Picozzi e i Mastronardi, ossia poco a che vedere. Rischio vi sarebbe, semmai, se colludendo con questi fenomeni mediatici attribuissimo loro un peso maggiore di quello che hanno effettivamente e che si misura dalla scarsissima consistenza delle opinioni degli esperti.
Salvo interrogarci tutti i giorni su quel pezzettino di Bruzzone che certamente è in ognuno di noi anche se forse, davanti a una telecamera e a un giornalista che incalza, non sapremmo proprio far meglio di lei.

Tratto da: OSSERVATORIO DI PSICOLOGIA NEI MEDIA NEWS LETTER DI NOVEMBRE

COMMENTI

1. Segreteria ICAA – dicembre 1st, 2010 at 13:04 http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=40412

In questa intervista molte delle parole che vengono attribuite a Roberta Bruzzone in realtà sono “tratte” da un articolo pubblicto da altro studioso, come si può notare in uno dei commenti a fondo articolo. http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=40412i sembra un comportamento etico?

2. Vittorio Sacchi – dicembre 1st, 2010 at 14:41

Sottoscrivo pienamente il commento della collega La Via, di cui ho apprezzato la chiarezza.
Mi chiedo se in casi come questi non sia opportuno, per non dire doveroso, un intervento dell’Ordine per un richiamo o con ulteriori severi proveddimenti in base ai suddetti articoli del codice deontologico.
Cordiali saluti.

3. Giada – dicembre 3rd, 2010 at 19:48

Confermo l’opinione della collega La Via e non riesco a capire come possa ancora avere una credenza sociale una persona come la Dott.Bruzzone. L’Ordine dovrebbe fare qualcosa.

4. Antonella – dicembre 6th, 2010 at 14:31

L’analisi della Dott.ssa La Via è seria e puntuale. Mi chiedo come siano ammesse certe cose da parte di emittenti televisive che propinano al pubblico “esperti” o “pseudo esperti” (meno male che Internet è propensa ad una informazione più aperta e critica). Speriamo vivamente che l’Ordine prenda posizione, anche perchè dopo tutti i commenti letti sugli psicologi da parte di molti utenti (ed è questo che dovrebbe far pensare!) c’è da preoccuparsene seriamente.
Continuate con queste iniziative!

 
5. Nicola Facco – dicembre 7th, 2010 at 16:07

Cara Valeria La Via: BRAVA. Ben esposto e argomentato il tuo parere, che condivido in toto; aggiungo a quanto hai scritto, che anche la signora presentatrice, attrice e “giornalista” Barbara Durso sta abusando dei programmi che conduce per “sentenziare” continuamente senza oggettività e propinare ore e ore di trasmesse interviste su casi di cronaca nazionale non bisognevoli di tanta ribalta e tanta quotidianità. La conduzione di interminabili dirette TV con la prassi del “dico non dico” pur di trattenere il telespettatore affamato di notizie per fare odience non si può e non si deve sempre giustifucare con il ricorrente “dovere di cronaca”: argomenti ancora in fase d’indagine devono essere rispettati come le persone che ne sono coinvolte. La brama di verità rispetto a fatti deprecabili da tutta la società viene fagocitata e sarebbe cosa buona e giusta solo una giusta e misurata cronaca dei fatti che veramente si conoscono.

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