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Gaslighting

     

Il termine “Gaslighting” deriva dal titolo del film “Gaslight“, Angoscia (Gaslight) del 1944 diretto dal regista americano  George Cukor con Ingrid Bergman e Charles Boyer. Il film si svolge nell’Inghilterra vittoriana, dove un gentiluomo persuade la giovane moglie ad abitare nella vecchia casa dove è cresciuta e dove fu assassinata (da lui, naturalmente) sua zia e con una diabolica strategia psicologica, alterando le luci delle lampade a gas della casa, la spinge sull’orlo della pazzia (TRAMA: Gregory Anton (Charles Boyer) seduce e sposa Paula Alquist (Ingrid Bergman), nipote di una celeberrima cantante lirica morta in circostanze misteriose. Anton cerca di far impazzire la moglie in modo da poterle rubare la cospicua eredità della zia. Brian Cameron (Joseph Cotten) si accorge di ciò e riesce a salvare Paula facendo arrestare Gregory). Non vi sono parole per descrivere la sensazione di morte imminente che prova la persona colpita da quasto tipo di vessazioni psicologiche: alla vittima viene tolta la speranza del domani e con la certezza che manifesti, quanto prima, problemi psichici.

  
Da qui, il termine gaslighting è utilizzato per definire un crudele comportamento manipolatorio messo in atto da una persona abusante per fare in modo che la sua vittima dubiti di sé stessa e dei suoi giudizi di realtà, cominci a sentirsi confusa, sbagliata e dipendente fino a farla dubitare della sua sanità mentale. Il gaslighter, così viene definito l’attore di tale subdola azione di manipolazione mentale, fa credere alla vittima di stare vivendo in una realtà che non corrisponde alla realtà: in sostanza, agisce su di lei un vero e proprio “lavaggio del cervello”. La ricerca dimostra che, nella stragrande maggioranza dei casi, la vittima e il gaslighter sono relazionalmente vicini, quasi sempre partner o parenti stretti: quindi, il contesto può essere quello di coppia, familiare, amicale e lavorativo (spesso all’interno di rapporti precedentemente fondati sull’amore). Sono numerosi i casi in cui il comportamento di gaslighting è messo in atto dal coniuge abusante per chiudere rapporti coniugali difficili (insoddisfazioni personali, relazioni extraconiugali, ecc…); queste situazioni intime familiari non sono facilmente riconoscibili perchè la violenza diventa insidiosa, sottile, non se ne percepisce l’inizio e, avolte, è scusata dalla stessa vittima. Non si tratta di un’ira, bensì di una lama sottile che s’insinua, molte volte, tra le mura domestiche.

Subentra una frustrazione alla quale non si sa reagire in modo adeguato e che mette in crisi la sicurezza e la fiducia; il gaslighting lascia ferite che nessuno potrà guarire. La vittima viene “deumanizzata” dal persecutore, che attua un atteggiamento pregno di asserzioni che feriscono l’anima e che sono dannose ancor più se pronunciate alla presenza di altre persone; il gaslighter sa come incrementare le ferite: instaura, con il suo comportamento, una relazione narcisistico-perversa, manipola la vittima ottenendiìone il controllo totale e impedendone separatezza e autonomia.

In questo sprofondamento nell’abisso, la vittima attraverserà tre fasi successive: 

1) Incredulità: la vittima non crede a quello che sta accadendo nè a ciò che vorrebbe farle credere il suo persecutore (distorsione della comunicazione con “dialoghi” fatti di silenzi ostili, alternati da picchi destabilizzanti);

2) Difesa: la vittima cerca/inizia a difendersi con rabbia e a sostenere la sua posizione di persona sana e ben radicata nella realtà oggettiva; 

3) Depressione: la vittima si convince che il manipolatore ha ragione, getta le “armi”, si rassegna, diventa insicura ed estremamente vulnerabile e dipendente, si spegnerà piano piano il suo soffio vitale.

Sono classificabili tre categorie fondamentali di manipolatore:
1) il bravo ragazzo che sembra avere a cuore solo il bene della vittima, ma – in realtà – antepone ad ogni altra cosa i propri bisogni; 

2) l’adulatore (il manipolatore affascinante) che attua la manipolazione in maniera strategica lusingando la vittima; è probabilmente il più insidioso, perchè crea disorientamento totale nella vittima;

3)l’intimidatore che – non nascondendosi dietro a false facciate – utilizza il rimprovero continuo, il sarcasmo e l’aggressività diretta.

Si tratta di una grave forma di perversione relazionale che rende le vittime talmente assuefatte e dipendenti da essere, nella maggior parte dei casi, inconsapevoli rispetto a ciò che sta loro accadendo. La violenza si cronicizza non appena la vittima entra nella fase depressiva, quella in cui si convince della ragione e anche della bontà del manipolatore (che si prende cura di lei, la capisce, la sostiene) che non a caso è spesso addirittura idealizzato. Ecco che si crea così il paradosso, in cui la vittima idealizza il proprio carnefice. Proprio per quanto detto finora, è difficile che chi è vittima del gaslighter si renda conto della situazione perversa in cui vive e chieda aiuto, cosa ancor più vera se si pensa che essa diventa così dipendente da isolarsi anche a livello sociale per la paura di essere inadeguata o giudicata pazza.

Più spesso la richiesta di aiuto o la capacità di far “aprire gli occhi” alla vittima arriva da chi le sta intorno, altri familiari, amici o colleghi. E’ allora che può e deve iniziare il percorso di ricostruzione della propria identità, della fiducia e del senso di sè che porti la donna a liberarsi da una relazione perversa e dolorosa.